Pensieri e giudizi/II/VII
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VII.
Se la musica è la parola indefinita dell’indefinibile, due sono i Geni sovrani che, non uscendo mai dai limiti dell’arte propria, abbiano saputo cavare da essa i più mirabili effetti: Beethoven e Bellini.
Le sonate di Beethoven c’inalzano nel regno indefinito del pensiero, agitato da occulte potenze, popolato di esseri sovrumani che parlano un linguaggio di vaticini superbi e di ricordanze sublimi. Il genio del maestro, seduto maestosamente su la vetta luminosa di una immensa piramide, ascolta estasiato l’armonia delle sfere, la raccoglie nell’animo che fedelmente la riecheggia, la versa con liberalità sapiente, con munificenza divina dintorno a sè nell’oblio della terra, nell’oblio delle turbe aspettanti a piè del suo trono la parola consolatrice.
Il regno di Bellini è tutto nell’indefinito sentimento, nella malinconia congenita della vita. L’amore e il dolore, argomenti perpetui di ogni arte, ricevono da lui un’espressione profondamente e sostanzialmente musicale. La vita non è da lui rappresentata nella sua cruda drammatica realtà, come nelle opere del Verdi, non sorpresa alla superficie fra lo scintillìo capriccioso, come nella ditirambica ebbrezza dell’opera rossiniana: la vita ci appare trasfigurata nella penombra di una sfera ideale, a traverso un magico velo imperlato di pallidi riflessi lunari, fluttuante, vaporosa, fuggevole come immagine di sogno, come armonia celestiale ascoltata nell’estasi di un primo amplesso d’amore, in un’eclissi voluttuosa di tutti i sensi.
Chi ha dolorato ed amato sente subito il fàscino della melodia belliniana: tutto ciò, che sotto il fastidio della vita cotidiana si andava man mano oscurando nella coscienza, si desta ad un tratto come per incanto, ci ridice le dolci parole che ci han fatto palpitare nella giovinezza, fremere e spasimare nella virilità, ci fa rivivere i più soavi e i più tristi momenti della nostra vita, presentire la infinita malinconia della fine, il dissolvimento perpetuo di tutte le cose. Per questo i motivi del Bellini non ci sorprendono mai, non ci paiono mai nuovi: ci sembra di averli uditi altra volta. Dove? Quando? Il passato e l’avvenire della nostra specie si confondono nella nostra mente, l’anima si smarrisce in un labirinto misterioso, il cuore palpita più frequente, gli occhi si velano di lagrime.