Pensieri e discorsi/Una festa italica/IX - L'Italia fuggente
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IX.
L’Italia fuggente
Sì: la vostra patria ha un grande e luminoso avvenire: non è un lento emanare di fumacchi dal terreno. Ella ha le sue miserie, ma non è condannata dal fato.
Portate, portate con voi il fuoco del suo focolare eterno! Fatela splendere altrove questa luce che due volte illuminò il mondo!
Ma bisogna che l’emigrante si sia già in patria scaldato a quel focolare, che quella luce l’abbia prima veduta in patria. Bisogna che la sua italianità l’italiano che parte per l’esilio, l’abbia riconosciuta e amata in sè.
Scuole! Scuole! Scuole!
Moltiplicate le scuole in patria, se volete che fuori siano desiderate, cercate e preferite. Fate che ognuno rechi nell’intimo cuore i grandi Dei dell’Italia, che per informi che siano ai suoi occhi, hanno la virtù di fare Italia qualunque terra essi tocchino. I grandi Dei: eroi pensatori, eroi combattenti, eroi martiri.
Va con loro tu, o Dante, che in te riassumi tutti questi Penati, tu, o pugnace poeta scampato al rogo e alla scure, e morto fuori del bello ovile. Tu che sapesti le dure croste del pane altrui e componesti il poema sacro, insegna loro che si può essere miseri e grandi.
Mostra loro che non si parla nel mondo linguaggio in cui siano state fuse più alte idee, che in quello di Dante. Dovunque essi ti collochino, o nostra potente Vesta, o fuoco nostro eterno, o Genio di nostra gente, ricinto dei colori quali erano il velo, il manto, la veste della tua Beatrice immortale, candido verde e fiamma viva, là è l’Italia; esule, come fosti tu, ma Italia, come tu fosti Dante: Dante, non sebbene in esilio, ma perchè in esilio.