Pensieri e discorsi/La ginestra/VII
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VII.
Vanità i severi economici studi, vanità ogni speranza di miglioramento sociale. Tu ridevi, scrivendo ad Aspasia, della felicità delle masse, perchè aggiungevi: “il mio piccolo cervello non concepisce una massa felice, composta d’individui non felici„. Tu aggiungevi ancora: “I miei amici si scandalizzano; ed essi hanno ragione di cercare gloria e beneficare gli uomini; ma io che non presumo di beneficare, e che non aspiro alla gloria, non ho torto di passare la mia giornata disteso su un sofà, senza battere una palpebra„. E tu confermi queste terribili parole col tuo presente ragionamento e coi gelidi amarissimi versi al candido Gino. Felicità comune? vanità! Scienza? vanità! Progresso? vanità! Anche la poesia, che non può essere utile, che non può cantare
i bisogni
Del secol nostro e la matura speme,
Tristano! Eppure io non sono come gli altri amici tuoi che si scandalizzano.
Io so il perchè.
E io so che, per grande poeta che tu sia, il tuo tempo non è ancora venuto. Tu non sei il vate delle ardenti rivoluzioni nazionali; tu non sei il profeta delle cupe secessioni sociali. Riconquistati i confini delle patrie, ricostituiti i diritti delle classi, verrà il tuo evo. Perchè in vero tu contempli il genere umano da così sublime vetta di pensiero e dolore, che non puoi scoprire, da così lungi e da così alto, tra gli uomini, differenza di condizioni, di parti, di popolo, di razza.
È un formicolìo di piccoli esseri uguali: e se n’alza un murmure confuso di pianto.