Pensieri e discorsi/L'èra nuova/IX

../VIII

../X IncludiIntestazione 9 settembre 2012 100% Da definire

L'èra nuova - VIII L'èra nuova - X
[p. 122 modifica]

IX.


Io dico che l’emanazione poetica della scienza, il giorno che l’avrà, è destinata a render buono il genere umano. O poeti dell’avvenire, voi dovete riuscire in ciò in cui i poeti del passato hanno fallito. Hanno fallito: e questo oppongo a chi dice fallita la scienza. Hanno fallito: perchè, non consolare questo [p. 123 modifica]o quello, non tergere qua una lagrima, là abbreviare un brivido, ma dovevano diminuire la somma dell’infelicità umana. A tale somma non si poteva e non si può sottrarre se non quella parte che non è originaria e connaturata; se non il dolore che l’uomo reca all’uomo; se non il male. E in ciò quei poeti non sono riusciti. Dovete riuscire voi, o poeti della nuova èra. E per questo fine voi dovete prendere l’infula e lo scettro di sacerdoti, che quelli si son lasciati strappare dalla fronte e dalla mano. Voi dovete essere sinceri: rinunziare subito, se già nel vostro spirito ne è qualche tentazione, a fingere di credere: voi dovete credere. Ora la vostra sincerità è per me affatto dubbia, quando, dopo tanta luce di scienza, voi vi atteggiate a felici, ad egoarchi, a superuomini. La scienza ha ricondotto le nostre menti alla tristezza del momento tragico dell’uomo; del momento in cui acquistando la coscienza d’essere mortale, differì istantaneamente, dalla sua muta greggia che non sapeva di dover morire e restò più felice di lui. Il bruto diventò uomo, quel giorno. E l’uomo differì dal bruto per l’ineffabile tristezza della sua scoperta. Ma non ebbe il coraggio di continuare ad ascendere, di guardare in faccia il suo destino, di essere veramente superiore alla greggia che aveva accanto.

Cercò le illusioni e le trovò. Il bruto non sa di dover morire; l’uomo disse a sè di sapere di non dover morire. Tornarono ad assomigliarsi. E penetrò nella sua coscienza qualche cosa di analogo al lento passeggiare per il cielo dei leoni, dei plaustri, dei cacciatori, composti di stelle. E d’allora in poi la morte, una volta negata, non ebbe più dall’animo [p. 124 modifica]dell’uomo il suo mesto e totale assentimento. L’uomo non temè di contristare il suo simile, non temè di ucciderlo, non temè di uccidersi, perchè non sentì più l’irreparabile. Io so il Peisithanatos, qual è. Io so chi persuade a violare, in sè e in altrui, la vita. È chi, nel nostro animo, prima violò la morte.