Pensieri e discorsi/Antonio Mordini in patria/III
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III.
Domani Barga sarà tornata alla sua pace operosa, la quale del resto era cominciata da quando Firenze, da cui ella era Comune piuttosto protetto che soggetto, ebbe la signoria o supremazia di tutta Toscana. E la pace divenne, anzi, al fine sonnolenza, appena scossa, a un tratto, dal turbine della rivoluzione francese e dalla meteora Napoleone. Visse sino alla più tarda età, a Castelvecchio, un vecchiettino sarto che aveva militato in Russia, e che morì, egli scampato all’incendio di Mosca e ai ghiacci della Beresina, di freddo, avanti il focolare in cui egli non era riuscito, per la gran debolezza, a rattizzare il fuoco. A che questo ricordo? Non so. Forse m’è venuto perchè il Mordini amava quel buon vecchio, e lo voleva, dicono, accanto a sè nelle feste patrie. Quel vecchio era il ricordo vivo di quella tempesta, che, se poi si trovò benefica nei suoi effetti, fu allora esecrata. E nel 1814 ne fu in Barga molto festeggiata la fine... Chi sa? In occasione di quella festa venne portato a Barga, per ornamento di qualche chiesa o di qualche sala, che cosa? quel cedro, che un vecchio Bargeo ora morto mi affermava avere la sua età. Ora il vecchio era nato nel quattordici. E il cedro vegetò molti anni in una conca, poi in un orto; infine qui sul bastione, dal 1836, spiega le sue forti braccia, sfidando i venti e le folgori, e albergando i passeri. In poco men d’un secolo la pianticella s’è fatta un bell’albero, un grande albero. Ma sapete, o cittadini di Barga che considerate il cedro del Libano come vivo stemma della vostra terra, e che avete voluto che alla sua ombra stesse colui che della vostra terra fu il presidio ed è l’onore, sapete che cosa in quello stesso intervallo di tempo crebbe anche più di quel cedro, e da più infelici cominciamenti, e attraverso più dure vicende? Cittadini, l’Italia!