Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/87
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il sentimento profondo colla forza del contrasto, mentre nel romantico non potete esser commosso se non come dagli avvenimenti ordinari della vita, che i romantici esprimono fedelmente, ma senza dargli nulla di quello straordinario e sublime, che innalza l’immaginazione, e ispira la meditazione profonda e la intimità e durevolezza del sentimento. E cosí ancora si verifica che gli antichi lasciavano a pensare piú di quello ch’esprimessero, e l’impressione delle loro opere era piú durevole.
* Quando l’uomo veramente sventurato si accorge e sente profondamente l’impossibilità d’esser felice e la somma e certa infelicità dell’uomo, comincia dal divenire indifferente intorno a se stesso, come persona che non può sperar nulla, né perdere e soffrire piú di quello ch’ella già preveda e sappia. Ma se la sventura arriva al colmo, l’indifferenza non basta: egli perde quasi affatto l’amor di se ch’era già da questa indifferenza cosí violato, o piuttosto lo rivolge in un modo tutto contrario al consueto degli uomini: egli passa ad odiare la vita, l’esistenza e se stesso, egli si abborre come un nemico: e allora è quando l’aspetto di nuove sventure o l’idea e l’atto del suicidio gli danno una terribile e quasi barbara allegrezza, massimamente se egli pervenga ad uccidersi essendone impedito da altrui; allora è il tempo di quel maligno amaro e ironico sorriso simile a quello della vendetta eseguita da un uomo crudele, dopo forte lungo e irritato desiderio: il qual sorriso è l’ultima espressione della estrema disperazione e della somma infelicità. Vedi Staël, Corinne l. 17, ch.4,5me édition, Paris, 1812, p.184, 185. t. III. * «Je vous l’ai dit souvent, la douleur me tuerait; il y a trop de lutte en moi contre elle; il faut lui céder pour n’en pas mourir» dice Corinna presso la Staël, liv.14, ch. 3, t. II, p. 361 dell’edizione citata qui dietro. E da questo venìa che gli antichi, al carattere dei quali l’autrice ha voluto ravvicinare quello di Corinna quanto era compatibile coi costumi e la filosofia moderna, di cui l’arricchisce a piena mano, erano vinti dall’infelicità, in modo che esprimevano la loro disperazione cogli atti e le azioni piú terribili, e la sventura li mandava fuori di se stessi e gli uccideva. Quel se réposer sur sa douleur, quel piacere perfino provato dai moderni per la stessa sventura e per la considerazione di essere sventurato, era cosa ignota a quelli che, secondo l’istinto della natura non ancora del tutto alterata, correvano sempre dritto alla felicità, non come a un fantasma, ma cosa reale, e trovavano il loro diletto dove la natura primitivamente l’ha posto, cioè nella buona e non nella cattiva fortuna, la quale quando loro sopravvenniva la riguardavano come propria, non come universale e inevitabile. Né il desiderio della felicità era in essi temperato e rintuzzato e illanguidito da nessuna considerazione e da nessuna filosofia. Perciò tanto piú formidabile era l’effetto di quanto impediva loro l’adempimento di questo desiderio.
* «Les habitans du Midi craignant beaucoup la mort, l’on s’étonne d’y trouver des institutions qui la rappellent à ce point; mais il est dans la nature d’aimer à se livrer à l’idée même de ce que l’on redoute. Il y a comme un énivrement de tristesse qui fait à l’âme le bien de la remplir tout entiére». Corinne, l. 10, ch. 1, t. II, p. 115, edizione citata qui dietro