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[p. 190 modifica] cognizione che produce appunto questa infelicità, che in natura non dovevamo mai conoscere. Gli antichi, in cambio di quel sentimento che ora è tutt’uno col malinconico, avevano altri sentimenti, entusiasmi ec. piú lieti e felici; ed è una pazzia l’accusare i loro poeti di non esser sentimentali, e anche il preferire a quei sentimenti e piaceri loro, che erano spiritualissimi anch’essi e destinati dalla natura all’uomo non fatto per essere infelice, i sentimenti e le dolcezze nostre, benché naturali anch’esse, cioè l’ultima risorsa della natura per contrastare, com’è suo continuo scopo, alla infelicità prodotta dalla innaturale cognizione della nostra miseria. La consolazione degli antichi non era nella sventura, per esempio un morto si consolava cogli emblemi della vita, coi giuochi i piú energici, colla lode di avere incontrata una sventura minore o nulla morendo per la patria, per la gloria, per passioni vive, morendo dirò quasi per la vita. La consolazione loro anche della morte non era nella morte, ma nella vita. Vedi p.105 di questi pensieri.


*   Le altre arti imitano ed esprimono la natura da cui si trae il sentimento, ma la musica non imita e non esprime che lo stesso sentimento in persona, ch’ella trae da se stessa e non dalla natura, e cosí l’uditore. Ecco perché la Staël (Corinne liv.9, ch. 2) dice: «De tous les beaux-arts c’est (la musique) celui qui agit le plus immédiatement sur l’âme. Les autres la dirigent vers telle ou telle idée, celui-là seul s’adresse à la source intime de l’existence, et change en entier la disposition intérieure.» La parola nella poesia ec. non ha tanta forza d’esprimere il vago e l’infinito [p. 191 modifica]del sentimento, se non applicandosi a degli oggetti, e perciò producendo un’impressione sempre secondaria e meno immediata, perché la parola, come i segni e le immagini della pittura e scultura, hanno una significazione determinata e finita. L’architettura per questo lato si accosta un poco piú alla musica, ma non può aver tanta subitaneità, ed immediatezza.

*   La speme che rinasce in un col giorno.
     Dolor mi preme del passato, e noia
     Del presente, e terror de l’avvenire.


*   Si può osservare che il cristianesimo, senza perciò fargli nessun torto, ha per un verso effettivamente peggiorato gli uomini. Basta considerare l’effetto che produce sopra i lettori della storia il carattere dei principi cristiani scellerati in comparazione degli scellerati pagani, e cosí dei privati, dei patriarchi, vescovi, e monaci greci (v. Montesquieu, Grandeur ec., Amsterdam, 1781. ch. 22) o latini. Le scelleratezze dei secondi non erano per nessun modo in tanta opposizione coi loro principii. Morto il fanatismo della pietà e il primo fervore di una religione che si considera come un’opinione propria e una setta e cosa propria, e di cui perciò si è piú gelosi, anche per li sacrifizi che costava il professarla; l’uomo in società ritorna naturalmente malvagio, colla differenza che, quando gli antichi scellerati operavano o secondo i loro principii o in opposizione di massime confuse poco note e controverse, i cristiani operavano contro massime certe, stabilite, definite, e di cui erano intimamente persuasi; e l’uomo è sempre tanto piú