Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4427
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* Alla p. precedente. Il piacere che ci danno un certo stile semplice e naturale (come l’omerico), le immagini fanciullesche, e quindi popolari, circa i fenomeni, la cosmografia ec.; in somma il piacere che ci dà la poesia, dico la poesia antica e d’immagini; tra le sue cagioni, ha per una delle principali, se non la principale assolutamente, la rimembranza confusa della nostra fanciullezza che ci è destata da tal poesia. La qual rimembranza è, fra tutte, la piú grata e la piú poetica; e ciò, principalmente forse, perché essa è piú rimembranza che le altre, cioè a dire, perché è la piú lontana e piú vaga (1o del 1829).
* L’uso comune a tante antiche (e moderne) nazioni e religioni, di conservare con grandissima gelosia il fuoco ne’ templi, e con tanta cura che non si spegnesse mai, non avrebb’egli per sua origine (come tante altre pratiche religiose dell’antichità, derivate, quali evidentemente, e quali in modo che oggi la loro origine appena si può indovinare, da bisogni o utilità sociali, da tradizioni scientifiche ec.) la rimembranza e la tradizione della difficoltà provata primitivamente per accender fuoco al bisogno, per conservarlo o rinnovarlo a piacere; e la tema di non perdere il fuoco affatto, cioè non poterlo riavere, se si fosse lasciato spegnere? (1o del 1829).
* Usarono gli antichi latini di aggiungere un d alla fine delle voci per evitare l’iato, o ne’ versi l’elisione ec. Anche nel mezzo delle voci composte; come in prosum: pro-d-es, pro-d-esse ec., prodire, prodigere, redire, redigere ec. ec. (vedi Forcellini in D, littera). Cosí i nostri specialmente antichi, od, ned, ad, sed, ched ec., uso certamente non derivato da’ libri di quegli antichi latini. Segno che quest’uso conservossi per via del latino volgare ec. (1o del 1829).