Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4328

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[p. 272 modifica] Sui pretesi dialetti d’Omero vedi la p. 4319, capoverso 1 (Firenze, 31 luglio 1828).


*    Alla p. 4318. Infatti Femio e Demodoco nell’Odissea cantano i loro versi narrativi accompagnandosi [p. 273 modifica]colla lira. Del resto queste mie osservazioni tendono a rivendicar come antica la differenza ora e da gran tempo riconosciuta fra le poesie lodative, passionate ec. dette liriche, meliche ec. e le narrative, dette epiche (31 luglio 1828).


*    Alla p. 4326. La mancanza dell’arte necessaria per ottenere il semplice fu una delle cause che ritardarono nella letteratura greca, già ricca di versi, la produzione di buone prose. Chi non voleva scriver plebeo, chi non era affatto ignorante, sapeva scrivere ornatamente (come sta bene in poesia), ma non (come vuolsi alla prosa) pianamente. La lingua de’ numi, dice il Courier (prefazione al Saggio dell’Erodoto), era benissimo posseduta, mentre la lingua degli uomini non si sapeva ancora usare. I primi saggi di prosa greca, come quelli di Ecateo Milesio e di Ferecide, peccano principalmente, come osserva esso Courier, per il poetico che hanno, anche nella dizione. Lo stile riusciva gonfio, non se ne sapevano guardare: in poesia si trovavan piú a loro agio, perché quivi non era gonfiezza quel che lo era nella prosa. Anche Erodoto, a ben guardarlo, ha del poetico e del gonfio in mezzo alla naturalezza propria del tempo. Cosí noi avevamo Dante, e nessuna prosa di conto fino al Boccaccio. Le migliori erano le piú plebee, scritte da’ piú ignoranti, senza pretensione, senza neppure intenzione (per dir cosí), di scrivere. Ma i prosatori che volevano scrivere, riuscivano stranamente gonfi (in mezzo alla naturalezza, effetto del tempo e della pochissima lettura), come Dino Compagni, similissimi per la meschina gonfiezza e declamazione, ai fanciulli di rettorica (31 luglio 1828).