[p. 442 modifica] gli altri popoli. Ora, generalmente parlando, si scuopre nella natura quest’ordine che la durata della vita (sí negli animali sí nelle piante) sia in ragione inversa della sua intensità ed attività. La testuggine, l’elefante e altri animali tardissimi hanno lunghissima vita. I piú veloci ed attivi, ancorché piú forti degli altri (come è, per esempio, il cavallo rispetto all’uomo) hanno vita piú corta. Ed è ben naturale, perché quell’attività e intensità di vita importa maggiore rapidità di sviluppo della medesima, e quindi di decadenza. Infatti, lo sviluppo sí degli uomini, sí degli animali, sí delle piante ne’ paesi assai caldi è molto piú rapido che negli altri. Or dunque, considerando queste condizioni fisiche della vita per rapporto al morale, si può ragionevolmente affermare che la sorte di quelli che vivono ne’ paesi assai caldi è preferibile quanto alla felicità a quella degli altri popoli. Primieramente la somma della loro vitalità, quantunque minore nella durata, è però assolutamente maggiore di quella degli altri, presa l’una e l’altra nel totale. Secondariamente, posto ancora che ella fosse uguale, a me par molto preferibile il consumare, per esempio, in quaranta anni una data quantità di vita che il consumarla in ottanta. Ella riempie i quaranta, e lascia negli ottanta mille intervalli, gran vuoto, gran freddezza, gran languore. La vita assolutamente non ha nulla di desiderabile, sicché la piú lunga sia da preferirsi. Da preferirsi è la meno infelice, e la meno infelice è la piú viva. Or la vita degli orientali, pognamola di quaranta anni, è molto piú viva che quella degli altri, pognamola di ottanta, quando bene la somma della vivacità dell’una vita e dell’altra sia la stessa. Or questo paragone di