Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/4045

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[p. 423 modifica] o essere stato vizioso, né l’aver commesso delitti (massime trattandosi di alcuni tali vizi e delitti, certi dei quali, anche atroci, fanno piuttosto onore, stima e rispetto, che altro)1; ma bensí l’essere o l’essere stato punito di qualsivoglia vizio o misfatto, anzi pure della virtú o di azioni virtuose e degne di lode e di premio. Negli Stati Uniti d’America l’opinione pubblica non attacca veruna infamia alla punizione, e il colpevole che è stato punito e rientra nella società v’è tanto piú esente da obbrobrio che l’impunito che in essa si aggira, quanto che: 1o, si considera ch’egli ha espiato colla pena subita il suo fallo, e riparato e data soddisfazione del torto fatto alla società, e pagato il debito contratto seco lei: 2o, si giudica, come in fatti ordinariamente succede, che la pena, la quale colà si considera e si chiama penitenza (le prigioni si chiamano case di penitenza), e le cure che nel tempo di essa espressamente si usano per curare con rimedi sí fisici che morali il morale del colpevole, abbiano corretto e riformato il suo carattere, i suoi costumi, le sue inclinazioni, i suoi principii, e ridottolo alla buona strada, con che e di diritto e di fatto e di opinione egli torna intieramente a paro e a livello degli altri cittadini o forestieri. Vedi il racconto sulle prigioni di Nuova York nell’Antologia di Firenze, num. 37, gennaio 1824, e in particolare la p. 54 (11 marzo 1824).


*    Ἐθέλω ἐγρηγορέω-θέλω γρηγορέω possono essere esempii o di accrescimenti o di troncamenti fatti da’ greci ai loro temi senz’alterazione di significato. Cosí λῶ per ἐθέλω, o quella sia la radice, o un troncamento, del che altrove (12 marzo 1824).

  1. Certo la punizione porta seco piú infamia che la colpa.