<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4038&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20190404144339</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/4038&oldid=-20190404144339
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 4038 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 415modifica] per la contraria cagione, cioè per aver poca cura e poco concetto di se, o desiderio della stima degli altri (che viene a essere il medesimo), sia che essi sieno tali per natura, o per abito acquisito. Cosí che essi offendono spesse volte e facilmente, o rischiano di offendere, l’amor proprio degli altri, e n’hanno poca cura, per poco amor di se stessi. E i timidi lo risparmiano sempre con mille scrupoli e riguardi, e non impetrano mai da se stessi non che di lederlo menomamente, ma di porsene a rischio benché leggero e lontano, e ciò per soverchio amor proprio, il quale parrebbe che dovesse principalmente offendere e muoverli ad offendere quello degli altri. E cosí per soverchia stima di se stessi si guardano di mostrar dispregio degli altri, e infatti non gli spregiano, anzi gli stimano eccessivamente non per altro che per lo smisurato desiderio e conto che fanno della loro stima, anche conoscendoli di niun valore, o almeno per la gran tema che hanno di perderla, eziandio vedendo che la sarebbe piccola perdita per rispetto al merito di coloro. Tali sono ordinariamente i fanciulli e i giovani ancora inesperti e inesercitati nel commercio umano e nelle palestre dell’amor proprio, dov’esso riporta tanti colpi, che alla fine incallisce; e tali sono piú o manco, per piú o men lungo tempo, ed alcune per tutta la vita, le persone sensibili e immaginose, le quali restano sovente fanciulle anche in età matura e vecchia, sí quanto a molte altre cose, sí quanto a questa della timidità nel consorzio umano, che in esse è sempre difficile a vincere, [p. 416modifica]piú assai che negli altri, e in alcune è assolutamente invincibile, come fu in Rousseau. La cagione si è l’eccesso dell’amor proprio, inseparabile dalla soprabbondanza della vita e forza dell’animo; ed insieme la vivacità della immaginazione, la quale non mai veramente spenta in loro, né anche quando pare affatto agghiacciata, e quando effettivamente ha cessato affatto di partorire alcun piacere all’individuo medesimo, continuamente, secondo la sua natura, va fingendo ad esso amor proprio, che è per se vivissimo, mille falsi pericoli e difficoltà, o smisuratamente accrescendo e moltiplicando i veri. Sí, Rousseau, e gli altri tali uomini sensibili e virtuosi e magnanimi, occupati sempre e legati da un invincibile e irrepugnabile timidità, anzi mauvaise honte ed erubescenza, non furono e non son tali se non per eccesso di amor proprio e d’immaginazione. Altro danno e infelicità somma della soprabbondanza della vita interna dell’anima (oltre i tanti da me altrove notati), della sensibilità, della squisitezza dell’ingegno, della natura riflessiva, immaginosa ec. Poiché in essa l’amor proprio essendo eccessivo, e però tanto piú bisognoso di successi, e desiderando la stima altrui e temendo la disistima molto piú che gli altri non fanno, e impedito di conseguire e costretto ad incontrare quelli che gli altri con molto minor desiderio e bisogno conseguono facilissimamente ogni dí, ed evitano con molto minor tema, e che quando nol conseguissero o non lo evitassero, ne sarebbero molto meno afflitti e infelicitati, per la minore vivacità e sensibilità dell’amor proprio, ed anche della immaginazione, la quale a quegli altri accresce eziandio per se stessa e con mille false esagerazioni e finzioni la grandezza delle perdite fatte, di quello che essi desiderano naturalmente di conseguire, di quello che non ottengono, dei mali successi incontrati nella società, delle ἀσχημοσύναι, che anche bene spesso non son vere affatto, ma fabbricate di pianta dall’immaginazione, [p. 417modifica]e non esistono se non nell’idea di questi tali, e cosí anche i buoni successi o gli oggetti che essi si propongono di conseguire che spessissimo sono vani e immaginarii, e da niuno ottenuti né possibili ad ottenere ec. ec. (1 marzo, penultimo dí di Carnevale, 1824).
Ciò che ho detto dell’immaginazione, dico