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e corporali, e cosí per tanto la felicità. Oltracciò Dio pose Adamo in paradiso voluptatis ut operaretur et custodiret illum (II, 15). Dunque, sebben l’uomo fu condannato dopo il peccato a lavorar la terra maledetta nell’opera di esso (III, 17), e scacciato dal paradiso di voluttà (III, 23) ut operaretur terram de qua sumptus est (ib.), si deve intendere a lavorarla con sudore e con ingratitudine d’essa terra, secondo il contesto della Genesi, e non che la sua vita avanti il peccato e la sua felicità dovesse consistere nella contemplazione ed essere inattiva, ossia senza opere e occupazioni corporali ed esterne e piacere di queste opere. Infatti chi non vede che l’uomo corrotto, ossia l’uomo tal qual è oggi, ha molto piú bisogni degli altri viventi, molto piú ostacoli a proccurarsi il necessario, e quindi ha mestieri di molto piú fatica per la sua conservazione? Fatica di stento, comandata dalla ragione e dalla necessità, ma ripugnante alla natura: fatica non piacevole ec. Laddove gli altri animali con poca fatica e quasi nessuno stento, si procacciano il bisognevole; non lavorano la terra, né questa produce loro spinas et tribulos (III, 18), cioè non contrasta ai loro desideri, ma somministra loro il necessario spontaneamente; ed essi raccolgono e non