[p. 429 modifica] uno stato che armonizzi colle sue qualità e natura. Senza questo stato egli è in una condizione di contrasto, di sconvenienza, e perciò travaglioso, non per l’assenza della quiete assolutamente, ma dell’armonia relativa. Se alla sua natura convenisse la guerra, il moto perpetuo, l’azione continua, egli sarebbe in istato di pena e violento, quando fosse costretto al riposo propriamente detto, e non riposerebbe, vale a dire non troverebbe felicità, se non che nella guerra o fatica. Il riposo e la pace per lui sarebbe disordine e la fatica e la guerra ordine. Sicché il riposo che noi desideriamo non è riposo o quiete assolutamente, ma armonia colla nostra natura, tanto specifica, quanto individuale. Cosí diremo della stabilità, perché quello che contrasta colla nostra natura, se anche ha l’atto della durata, non ha la potenza o il diritto, cosicché l’uomo non ci può trovar quiete. Al contrario nel caso opposto. Ma questa quiete non è quiete assoluta, quasi che la quiete fosse essenzialmente e primordialmente buona; bensí è quiete relativa, o vogliamo dire armonia. Non bisogna dunque usare le proposizioni astratte nelle cose relative, né pretendere di aver dimostrato che noi amiamo naturalmente un tal ordine, percioccché amiamo l’ordine. Amiamo l’ordine, l’amano tutti gli esseri; ma qual ordine? Odiamo il disordine, ma qual è questo disordine? Ciò bisogna