Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/3531

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[p. 9 modifica] credere che sia sciagura, poi per crederla molto minore ch’ei non è, poi alquanto minore, passando cosí piú o meno rapidamente di mano in mano e di grado in grado per questi vani tentativi fino all’intera cognizione e forzata persuasione della vera grandezza del male, o fino a quell’ultimo tentativo che riesce restando l’animo in una persuasione piú o manco inferiore al vero. Chiunque nel pericolo in cui non v’è nulla a fare, comparisce diverso da quel ch’ei suole, qualunque ei soglia essere, e qual ch’ei divenga, e quanta che sia questa diversità, non è coraggioso, o in quel caso non ha vero coraggio.


     Tornando al discorso del coraggio, il vero e perfetto coraggio (quando si tratti di un pericolo dove l’individuo non abbia nulla a fare per ischivarlo o mandarlo a vuoto) dee tanto esser lontano dal muover l’uomo ad allegria o dimostrazione d’allegria straordinaria o diversa dalla disposizione in che egli era il momento prima dell’apprensione del pericolo, quanto dal muoverlo a palpitare, a impallidire, a tremare, a dolersi, a perdersi d’animo, a cadere in tristezza, a divenir taciturno o serio contro il suo solito o contro quel ch’egli era il momento prima, a piangere e a provar gli altri effetti immediati, e dar gli altri segni espressi e formali del timore. Com’ei non può produrre gli effetti né i segni proprii del timore, e deve impedirli,