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[p. 400 modifica] benché illusorii, lo consideravano come infelice realmente e cosí viceversa. E non si consolavano mai col pensiero che queste fossero illusioni, conoscendo che in esse consiste la vita, o considerandole come tali o come realtà. E non tenevano la felicità e l’infelicità per cose immaginare e chimeriche, ma solide e solidamente opposte fra loro. (18 novembre 1820).


*   Il Laerzio Vit. Platon. l. 3, segm. 79-80. dice di Platone. ἐν δὲ τοῖς διαλόγοις καὶ τὴν δικαιοσύνην θεοῦ νόμον ὑπελάμβανεν (arbitratus est. Interpr.), ὡς ἰσχυροτέραν προτρέψαι [p. 401 modifica]τὰ δίκαια πράττειν, ἵνα μὴ καὶ μετὰ θάνατον δίκας ὑπόσχοιεν οἱ κακοῦργοι. ὅθεν καὶ μυθικώτερος ἐνίοις ὑπελήφθη, τοῖς συγγράμμασιν ἐγκαταμίξας τὰς τοιαύτας διηγήσεις (narrationes. Interpr.), ὅπως διὰ τοῦ ἀδ;ηλου τρόπου τοῦ ἔχειν τὰ μετὰ τὸν θάνατον (ut, quod incertum sit ista post mortem sic se habere, admoniti mortales etc. Interpr. ma non bene) οὕτως ἀπέχονται τῶν ἀδικημάτων.


*   Alla inclinazione degli uomini di partecipare altrui il piacere e il dolore, notata in altri pensieri, si dee riferire in gran parte la smania (attribuita principalmente alle donne, e propria soprattutto de’ fanciulli, insomma degli uomini piú leggeri e naturali) di rivelare il segreto