[p. 288 modifica] le loro opinioni ne gli allontanino, e quanto gli uomini sieno generalmente indegni ch’altri ne prendano cura; con tutto ciò questi tali sono prontissimi a compatire, dispostissimi a sovvenire agli altrui mali, inclinatissimi a beneficare, a prestar l’opera loro a chi ne li richiede, ancorché indegno, a profferirla pure spontaneamente, sforzando l’altrui ripugnanza d’accettarla e conoscendo quella di ricercarla; apparecchiati senza riservo e senza cerimonie ai bisogni ed a procurare i vantaggi degli amici: ed in effetto sono quasi continuamente occupati per altrui piú che per se stessi; le piú volte in piccoli, ma pur faticosi, noiosi, difficili uffizi e servigi, la cui moltiplicità, se non altro, compensa la piccolezza di ciascuno; talora eziandio in cose grandi o notabili e che richieggono grandi o notabili cure, fatiche ed anche sacrifizi. E ciò facendo, né presso se stessi, né presso i beneficati, né presso gli altri attaccano un gran pregio ai loro servigi, né gran conto ne fanno, né se ne reputano di gran merito (quasi accecati e dissennati da Giove, come dice Omero di Glauco quand’egli scambiò le sue armi d’oro con quelle del Tidide ch’erano di rame): di piú poca o niuna gratitudine esigono, quasi ei fossero stati tenuti a beneficare,