[p. 210 modifica] dove quello dell’Eneide non poté esser che nazionale. Né certo la Gerusalemme mancò del suo fine. Ma ora non per tanto non può piú produrlo. Interessi però episodici e non finali ve n’hanno molti nella Gerusalemme. V’ha quello di Olindo e Sofronia e nasce dalla sventura. V’ha quello di Erminia, quello di Clorinda, e nascono dalla sventura. V’ha quello del Danese, e nasce dalla sventura, e, quel ch’é notabile, da sventura toccante alla stessa parte che aveva a riuscir vittoriosa e fortunata, cioè a dire alla cristiana. Colla quale occasione è da considerare la bella e straordinaria facoltà che concedeva al Tasso lo spirito del suo tempo, cioè di congiungere la compassione alla felicità, di far nascere questa da quella, di salvar l’unità estrema che si esigeva ne’ poemi epici, pigliando un Eroe felice e facendolo non per tanto compassionevole. Alleanza impossibile anticamente, difficile e di poco buono effetto oggidí. Ma le opinioni cristiane (che al suo tempo fiorivano) riponendo