<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2505&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20151205203320</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2505&oldid=-20151205203320
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2505 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 279modifica] la loro lingua di parole e modi economicamente utili. Gli usarono, come facilmente si può scoprire, per espresso fine di essere eleganti col mezzo di un parlar pellegrino e ritirato dal volgare. E sebben furono costretti, volendo essere intesi, a usar gran parte delle voci e modi correnti e formarne il corpo della loro scrittura, pur molto volentieri e con predilezione s’appigliarono quando poterono alle voci e modi forestieri, per parlare alla peregrina e per dare al loro modo di dire un non so che di raro, ch’é insomma l’eleganza. E, per esempio, di Dante si vede chiaramente ch’egli si studiò di parlare a’ suoi compatrioti co’ modi e vocaboli provenzali, a cagione che la nazion provenzale era allora la piú cólta ed aveva una specie di letteratura abbastanza nota in Italia e che rendeva la lingua provenzale [p. 280modifica]provenzale cosí domestica agl’italiani cólti, che le sue parole o frasi, italianizzandole, non erano enigmi