[p. 233 modifica] non ha niente di proprio; tutto il suo è comune a tutte le nazioni parlanti e a tutte le altre lingue; il suo spirito, la sua indole, il suo genio non è suo, ma universale; vale a dire ch’ella non ha veruna originalità, e quindi non può esser bella, cioè non può esser né forte, né distintamente nobile, né espressiva, né varia (quanto alle forme), né adattata all’immaginazione, perché questa è diversissima e moltiplice e nel tempo stesso ella è la sola facoltà umana capace del bello e produttrice del bello. Ora che cosa vuol dire una lingua che abbia proprietà? Non altro, se non una lingua ardita, cioè capace di scostarsi nelle forme, nei modi ec. dall’ordine e dalla ragion dialettica del discorso, giacché dentro i limiti di quest’ordine e di questa ragione nulla è proprio di nessuna lingua in particolare, ma tutto è comune di tutte (parlo in quanto alle forme, facoltà ec. e non in quanto alle nude parole o alle inflessioni delle medesime, isolatamente considerate). Dunque, se non è né può esser bella la forma di una lingua che non ha proprietà, non è né può esser