Pagina 23

../22 ../24 IncludiIntestazione 2 novembre 2011 100% Saggi

22 24

[p. 108 modifica] in quei tempi tanto diversi. Cosí perderono la libertà, non si arrivò a conservare e difendere quello che pur Bruto per un avanzo d’illusioni aveva fatto, vennero gl’imperatori, crebbe la lussuria e l’ignavia; e poco dopo con tanto piú filosofia, libri, scienza, esperienza, storia, erano barbari.

E la ragione, facendoci naturalmente amici dell’utile proprio e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie assolutamente la società e inferocisce le persone.


*   Anche l’amore della maraviglia par che si debba ridurre all’amore dello straordinario e all’odio della noia, ch’è prodotta dall’uniformità.


*   Vedendo meco viaggiar la luna.


*   Non è favoloso, ma ragionevole e vero il porre i tempi eroici tra gli antichissimi. L’eroismo e il sagrifizio di se stesso e la gloriosa morte ec., di cui parla il Breme, Spettatore, p. 47, finiscono colle illusioni; e non è un minchione che le voglia in se in tempi di ragione e di filosofia, come sono questi, ch’essendo tali, sono anche quello ch’io dico, cioè privi affatto di eroismo, ec.


*   Quell’affetto nella lirica che cagiona l’eloquenza, e abbagliando meno persuade e muove piú, e piú dolcemente, massime nel tenero, non si trova in nessun lirico né antico né moderno, se non nel Petrarca, almeno almeno in quel grado; e Orazio, quantunque forse sia superiore nelle immagini e nelle sentenze, in questo affetto ed eloquenza e copia non può pur venire al paragone col Petrarca; il cui stile inoltre (io non parlo qui solo delle canzoni amorose, ma anche singolarmente e nominatamente delle tre liriche, O aspettata in ciel beata e bella, Spirto gentil che [p. 109 modifica]quelle membra reggi, Italia mia, ec.) ha una semplicità e candidezza sua propria, che però si piega e si accomoda mirabilmente alla nobiltà e magnificenza del dire (come in quel: Pon mente al temerario ardir di Serse, ec.) cosí in tutto il corpo e continuatamente, come nelle varie parti e in quelle dove egli si alza a maggior sublimità e nobiltà che per l’ordinario; si piega alle sentenze (come in quel: Rade volte addivien che a l’alte imprese, ec.), quantunque di quelle spiccate non n’abbia gran fatto in quelle tre canzoni; si piega ottimamente alle immagini, delle quali le tre canzoni abbondano e sono innestate nello stile e formanti il sangue di esso ec. (come: Al qual come si legge, Mario aperse sí ’l fianco ec. Di lor vene ove il nostro ferro mise ec. Le man l’avess’io avvolte entro’ capegli ec.).


*   Il Testi ha dicitura competentemente poetica ed elegante, non manca d’immagini, ha anche qualche immaginetta graziosa (come dove dice di Davidde: E allor che in oriente il dí nascea Usciva a pascer l’agne Su la costa del monte o lungo il rio, nella canzone Nelle squallide spiagge ove Acheronte), ha sufficiente grandiosità ed anche qualche eloquenza; le sentenze non sono mal collocate né esposte, quantunque non nuove; riesce anche benino assai nelle canzone filosofiche all’oraziana, imita spesso e qualche volta quasi traduce Orazio; ma non ha l’animatezza la scolpitezza, e la concisa nervosità e muscolosità ed energia e lo spirito del suo stile, né molta originalità e novità, né proprio proprio sublimità di concetti e d’invenzioni. Ma tutti i pregi che ho detto, salvo solamente la grandiosità e l’eloquenza, risplendono massimamente nelle canzoni della prima parte, che sono per la piú parte filosofiche e oraziane, dove lo stile è castigato e non manca leggiadria di maniere e di concetti; perché nelle altre parti, quantunque s’innalzi [p. 110 modifica]maggiormente e metta fuori piú forza e facondia e piú energiche immagini e insomma sia piú pindarico, è difficile trovar canzone che non sia malamente e sporcamente e visibilmente e tenacemente imbrattata della pece del suo secolo; che nella prima parte appena appena si scorge qua e là come macchiuzze, e forse qualche canzona n’è libera affatto e può parere d’un altro secolo. In oltre la dicitura