<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2163&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20150110142317</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/2163&oldid=-20150110142317
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 2163 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 84modifica] di qualche novità, dentro il piccolo spazio delle sue cognizioni. Vuol dire che l’ingegno umano non è che abitudine, le facoltà umane pure abitudini, acquistabili tutte da tutti, benché piú o meno facilmente, con piú lunga o piú corta assuefazione. Vuol dire che quel tale si è fin da fanciullo o lungamente esercitato ed abituato in quel genere di cognizioni e di abilità, e deve quest’abilità alle pure circostanze che gli hanno proccurato quell’assuefazione. Giacché suppongo che non si vorrà stimare innata e naturale in un falegname la facoltà di maneggiare perfettamente il suo mestiere ad esclusione di ogni altra facoltà. E sarà necessario supporre in lui nient’altro che una disposizione naturale, capace [p. 85modifica]d’ogni altra facoltà mediante l’assuefazione, ma dalle circostanze determinata a questa facoltà sola. Giacché che vuol dire che tutti coloro