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[p. 275 modifica] degl’ignoranti de’ fanciulli e dell’ordine della natura. -2°, Tutti i piaceri, come tutti i dolori ec., essendo tanto grandi quanto si reputano, ne segue che in proporzione della grandezza e copia delle illusioni va la grandezza e copia de’ piaceri, i quali, sebbene neanche gli antichi li trovassero infiniti, tuttavia li trovavano grandissimi, e capaci, se non di riempierli, almeno di trattenerli a bada. La natura non volea che sapessimo, e l’uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare. Quindi e trovando ciascun piacere molto piú grande che noi non facciamo, e dandogli coll’immaginazione un’estensione quasi illimitata, e passando di desiderio in desiderio, colla speranza di piaceri maggiori e di un’intera soddisfazione, conseguivano [p. 276 modifica]il fine voluto dalla natura, che è di vivere, se non paghi intieramente di quella tal vita, almeno contenti della vita in genere. Oltre la detta varietà, che li distraeva infinitamente, e li faceva passare rapidamente da una cosa all’altra, senz’aver tempo di conoscerla a fondo né di logorare il piacere coll’assuefazione. -3°, La speranza è infinita come il desiderio del piacere, ed ha di piú la forza, se non di soddisfar l’uomo, almeno di riempierlo di consolazione e di mantenerlo in piena vita. La speranza propria dell’uomo, degli antichi, fanciulli, ignoranti, è quasi annullata per il moderno sapiente. Vedi il pensiero che incomincia Racconta, p. 162.


     Del resto, il desiderio del piacere essendo materialmente infinito in estensione (non solamente nell’uomo, ma in ogni vivente), la pena dell’uomo nel provare un piacere è di veder subito i limiti della sua estensione, i quali l’uomo non molto profondo gli scorge solamente da presso. Quindi è manifesto: -1°, perché tutti