<dc:title> Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giacomo Leopardi</dc:creator><dc:date>XIX secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Zibaldone di pensieri I.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/1385&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20131014145309</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/1385&oldid=-20131014145309
Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - Pagina 1385 Giacomo LeopardiZibaldone di pensieri I.djvu
[p. 128modifica] prosa italiana, togliendole il diretto e naturale andamento della sintassi e con intricate e penose trasposizioni infelicemente tentando di darle (alla detta sintassi) il processo della latina (Monti, Proposta, t. I, p. 231). Il che dimostra che dunque, se in questi tre sommi si volesse anche riporre il perfezionamento ec. della lingua italiana poetica (che è falsissimo), non si può nel trecento riporre, a cagione de’ tre sommi, quello della lingua italiana prosaica. Ora, una lingua senza prosa come può dirsi formata? La prosa è la parte piú naturale, usuale e quindi principale, di una lingua e la perfezione di una lingua consiste essenzialmente nella prosa. Ma il Boccaccio, primo ed unico che applicasse nel trecento la prosa italiana alla letteratura, senza la quale applicazione [p. 129modifica]applicazione la lingua non si forma, non può servir di modello alla prosa. E notate ancora che dunque il Boccaccio, ch’era pure sí grande ingegno, scrivendo dopo i due grandi maestri sopraddetti e dopo tanti altri prosatorelli italiani, s’ingannò di grosso intorno alla stessa indole della lingua