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[p. 245 modifica] mi dicessi già tuttogiorno, e conveniva né piú né meno colla mia opinione. Io trovo le seguenti ragioni di questo effetto: -1.°) Che le cose che da lontano paiono tollerabili, da vicino mutano aspetto. Quella lettera e quell’augurio mi metteva come in una specie di superstizione, come se le cose si stringessero e la morte veramente si avvicinasse, e quella che da lontano m’era parsa facilissima a sopportare, anzi la sola cosa desiderabile, da vicino mi pareva dolorosissima e formidabile. -2.°) Io considerava quel desiderio della morte come eroico. Sapeva bene che in fatti non mi restava altro, ma pure mi compiaceva nel pensiero della morte, come in un’immaginazione. Credeva certo che i miei pochissimi amici, ma pur questi pochi, e nominatamente quel tale, mi volessero pure in vita e non consentissero alla mia disperazione, e, s’io morissi, ne sarebbero rimasti sorpresi e abbattuti, e avrebbero detto «Dunque tutto è finito? Oh Dio, tante speranze, tanta grandezza d’animo, tanto ingegno senza frutto nessuno. Non gloria, non piaceri, tutto è passato, come non fosse mai stato». Ma il pensar che dovessero dire, «Lode a Dio, ha finito di penare, ne godo per lui, che non gli restava altro bene: riposi in pace», questo chiudersi come spontaneo della tomba sopra di me, questa súbita e intiera consolazione della mia morte ne’ miei cari, quantunque ragionevole, mi affogava, col sentimento di un mio intiero annullarmi. La previdenza della tua morte ne’ tuoi amici, che li consola anticipatamente, è la cosa piú spaventosa che tu possa immaginare.