[p. 95 modifica] ma anche sommamente all’utilità, moltiplicando infinitamente il capitale e le forze della lingua, servendo a distinguere le piccole differenze delle cose e a circoscrivere la significazione, e modificarla; potendo l’italiano esprimere facilissimamente e chiaramente, mille cose nuove con parole vecchie nuovamente modificate, ma modificate secondo il preciso gusto della lingua ec. Questa facoltà l’hanno e l’ebbero qual piú qual meno tutte le lingue cólte, essendo necessaria, ma la nostra lingua in ciò pure non cede forse e senza forse né alla greca né alla latina, e vince tutte le moderne. E l’é tanto propria una decisa singolarità e preminenza in questa facoltà, che forma uno de’ principali ed essenziali caratteri della lingua italiana formata e applicata alla letteratura. Come dunque vogliamo spogliarla di questo suo carattere proprissimo, e dell’utilità che ne risulta? Come vorremo negare agli scrittori italiani la facoltà di continuare a servirsene? se essa fu data alla lingua da’ suoi fondatori e formatori ec. E se del tal uso della tal parola non si troverà esempio nel vocabolario, dovrà condannarsi, quantunque si abbiano mille esempi perfettamente simili e della stessa natura in altre parole e quantunque il detto uso sia perfettamente d’accordo colla detta facoltà della lingua e colla sua indole? Perché una lingua viva dovrà perdere le sue facoltà, che sole in lei