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[p. 233 modifica] La cagione di quella contentezza di noi stessi che proviamo nel leggere le vite o le gesta dei [p. 234 modifica]grandi e virtuosi (vedi Montesquieu, l. c., ch. 16, p. 176) è, che, eccetto i malvagi di professione e di coscienza, i quali certo non provano questo effetto, l’uomo o è buono o mezzo buono mezzo cattivo, come la maggior parte; nel qual caso ciascuno sente che l’istinto suo naturale e la sua destinazione è la virtú, e si considera appresso a poco come virtuoso. Ora quello che gli dà una grande idea della virtú e gli mostra coll’esempio a che cosa porti e come si faccia ammirare accresce l’idea di se stesso, ancorché uno non vi rifletta, cioè ingrandisce l’opinione e la stima di quella qualità che ciascuno, anche senza avvedersene distintamente, sente esser naturale in lui e propria del suo essere. Cosí dico del coraggio e dell’eroismo, ec. Oltre che quell’esempio e la lode e la fama risultatane a quei grandi uomini, servendo come di sprone ad imitarli, ciascuno in quel momento, perché prova un certo desiderio, benché ordinariamente inefficace di fare altrettanto, si crede capace confusamente di farlo se si presentasse l’occasione, la quale è lontana, e in lontananza si vedono molte belle cose e si fanno molti bei propositi. Omero farà sempre in tutti questo effetto, e un francese diceva che gli uomini gli parevano un palmo piú alti quando leggeva Omero. Per questo lato anche i cattivi sono suscettibili del detto effetto (12 giugno 1820).