Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/1118

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[p. 418 modifica] Giacché negli stessi antichi grammatici o filologi latini de’ migliori secoli non trovo notizia né osservazione positiva di questa proprietà della loro lingua. Vedi p. 1160.

Vo anche piú avanti e dico che, secondo me, quasi tutti i verbi latini terminati nell’infinito in tare o tari (dico tare, non itare) non sono altro che continuativi di un verbo positivo o noto o ignoto oggidí, e spesso andato anticamente in disuso, restando solo i suoi derivati o il suo continuativo, adoperato quindi bene spesso in vece sua. E credo che l’infinito di detti verbi in tare o tari indichi il participio del verbo positivo o il supino, troncando la desinenza in are o ari, e ponendo quella in us o in um: come optare, secondo me, dinota un participio optus, di un verbo primitivo e sconosciuto, di cui optare sia il continuativo. E mi conferma in questa opinione il vedere in alcuni di questi verbi conservato per anomalia, come abbiamo notato in visere, un participio che non pare appartenente se non ad un altro verbo primitivo e [p. 419 modifica]dal qual participio medesimo io credo formato quel verbo che rimane. Per esempio il verbo potare, che, oltre potatus, ha il participio potus. Io credo che questo participio, anomalo in detto