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(1118-1119-1120) | pensieri | 419 |
dal qual participio medesimo io credo formato quel verbo che rimane. Per esempio il verbo potare, che, oltre potatus, ha il participio potus. Io credo che questo participio, anomalo in detto (1119) verbo, non sia contrazione di potatus, come dicono i grammatici, ma participio regolare di un verbo che avesse il perfetto povi, come motus ha il perfetto movi, fotus ha fovi votus vovi, notus novi da nosco, di cui notare è continuativo e fa nel participio non già notus ma notatus. E la prima voce indicativa di detto verbo originario di potare sarebbe stata poo, ché appunto da πόω, verbo greco antico e disusato in questa e nella piú parte delle sue voci, stimano i grammatici che derivi potare (Forcellini). Ed osservo che la propria significazione di potare è infatti continuativa e denota azione piú lunga che il verbo bibere, come può sentire ogni orecchio avvezzo alla buona e vera latinità. Saepe est largius vino indulgere, poculis deditum esse, dice il Forcellini di esso verbo. Onde potatio non è propriamente il bere ma beveria ec., cioè un bere continuato, come si può vedere ne’ due primi esempi del Forcellini, che sono di Plauto e Cicerone, laddove nel terzo, ch’é di Seneca, vale lo stesso che potio, cioè bevuta, per la improprietà di quello scrittore piú moderno e meno accurato. E vedete appunto che potio, parola derivata da potus, participio del verbo perduto ch’io dico, significa azione poco continuata, cioè una semplice bevuta: Cum ipse poculum dedisset, subito illa in media potione exclamavit (Cicerone), (1120) cioè nell’atto di bere. Laddove potatio, formata da potatus di potare, significa beveria, come ho detto, e non si potrebbe propriamente e convenientemente esprimere con una voce formata dal verbo bibere. Osservazione, secondo me, assai forte, e che serve a dimostrare e confermare sí l’esistenza del detto verbo originario di potare ed avente il participio potus, sí tutta la mia teoria de’ verbi continuativi.