Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura/101
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* La cagione per cui gli uomini di gusto e di sentimento provano una sensazione dolorosa nel leggere, per esempio, le continuazioni o le imitazioni, dove si contraffanno le bellezze, gli stili ec. delle opere classiche (vedi quello che dice il Foscolo della continuazione del viaggio di Sterne), è che queste in certo modo avviliscono presso noi stessi l’idea di quelle opere per cui ci eravamo sentiti cosí affettuosi e verso cui proviamo una specie di tenerezza. Il vederle cosí imitate, e spesso con poca diversità, e tuttavia in modo ridicolo, ci fa quasi dubitare della ragionevolezza della nostra ammirazione per quei grandi originali, ce la fa quasi parere un’illusione, ci dipinge come facili, triviali e comuni quelle doti che ci aveano destato tanto entusiasmo: cosa acerbissima di vedersi quasi in procinto di dover rinunziare all’idolo della nostra fantasia, e rapire in certo modo e denudare e avvilire agli occhi nostri l’oggetto del nostro amore e della nostra venerazione ed ammirazione. Perché in ogni sentimento dolce e sublime entra sempre l’illusione, ch’è il piú acerbo dolore il vedersi togliere e svelare. Perciò quelle tali imitazioni ci sarebbero gravi, quando anche gareggiassero cogli originali, togliendoci l’inganno di quell’unico e impareggiabile che forma il caro prestigio dell’amore e della maraviglia. Nella stessa guisa che ci riesce dolorosissimo il vedere o porre in ridicolo, o travisare, o imitare gli oggetti dei nostri sentimenti del cuore (vedi Staël Corinne lib. penult., ch. [6°.], p. 317, del vol. III], ediz. quinta di Parigi): cosa che ci fa o dubitare o certificare della loro vanità reale e della nostra illusione, e ci strappa a quei soavi inganni che costituiscono la nostra vita; né c’è cosa che abbia questa forza piú della precisa imitazione o somiglianza di un altro oggetto che non possiamo pregiare né amare (sia per qualche grado di inferiorità reale, di ridicolo, di travisamento, ec., sia anche quando la somiglianza non abbia niente