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IX.
Vivis rosa grata et grata sepulcris.
I bei giorni trascorsi al presbitero!
O mio santo curato,
Che al giovinetto amico
Schiudesti il dolce asilo intemerato
E l’animo pudico,
Benchè or lungi da me tu sia sepolto,
7Ti parlo ancora, e ti riveggo in volto.
Ecco il canuto crine, e il mite sguardo!
Oh, l’orto ecco, e la oscura
Stanzetta della sera,
Ove lasciai partendo una pittura;
Ecco la croce nera,
E i santi scarni appesi alla parete,
14Taciti amici del solingo prete.
O settantenne fante — zoppicante
Nella queta dimora,
Certo, tanto l’amavi.
Sei morta seco per servirlo ancora:
Senti, io scordai soavi
Faccie di giovinette innamorate,
21Ma le tue rughe, no, non le ho scordate!
Quand’io tornava a sera, e il vecchierello
Parlava al suo breviario,
Tu, per darmi la cena,
Riponevi in un angolo il rosario;
Egli, finito appena,
Tutto ridente mi sedeva accanto,
28E mi diceva: — t’ho aspettato tanto! —
I poverelli che venivan spesso
M’amavano anche loro
Perchè il pastor m’amava,
E, nei dintorni, il mio mesto lavoro
Agli astri si portava,
Perchè un giorno avean visto in sul sagrato
35Chino a osservarlo il tremulo curato.
Io che non amo i preti, io piango ancora,
A quel vecchio pensando,
Che vivea di vangelo;
D’un volo il benedetto animo blando
Andò a posarsi in cielo,
E il vescovo narrò ch’egli è perduto
42Perchè cantava il dì dello Statuto.
Se cantava! lo vidi affaccendato
I vessilli a intrecciare,
Mentre, insieme alla fante,
Io l’aiutava ad allestir l’altare;
Come officiò esultante,
Come pura la voce al ciel s’ergea,
49E più bella del solito parea!
— Povero amico, addio... quel mazzolino
Ho ancor, che mi donasti
Quando da te partìa....
Di questi fior che tanto in terra amasti
La tua borgata pia
Ti orni la fossa, e nel tempo lontano
56Mesto ancor li coltivi il terrazzano! —
Aprile, 1863.