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Basta con le mezze misure: chi rompe, paga

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Basta con le mezze misure: chi rompe, paga1
Il cristianesimo e lo sviluppo democratico del popolo Fratelli d'Italia


Fratelli, in nome d’Italia, fratelli di speranza e di patimenti, per l’amore che avete a voi stessi, alla vostra dignità d’uomini, alla libera Italia che non esiste per anco, scuotetevi! Le grida non bastano, gli indirizzi non bastano, e l’altare della patria dimanda sacrifizii grandissimi, sacrifizii di oro e di sangue. Se a codesto non vi sentite parati, non siete degni di formare un inclito popolo, che voglia riscattarsi dal servaggio di molti secoli; e non lo sarete. E perché non si noti che ne’ momenti supremi nessuno sorse a gridarvi la parola del vero, noi che vogliamo raccogliere solamente tesori di affetti e di sdegni per redimere la patria, noi vi diremo aperte e solenni parole, parole amarissime, se volete... e che vale? Non vogliamo la lode, ma la salute comune; lapidate i profeti che vi gettano la parola della verità, ma salvatevi.

Lungo servaggio e lunghi lamenti formano l’istoria nostra di tre secoli e mezzo. Martiri aveste, e non pochi, che lasciaste cadere, o niegandoli, o sprezzandoli, o calunniandoli. E nondimeno la divina virtú di quel sangue ci riscosse nel dí del pericolo; ed ora, abbenché lacerati, abbenché sconfitti, duriamo in piedi, dettando leggi a’ governi, che reluttanti ci seguono. Oggi chi non ha sulle labbra una maledizione contro il papato? Chi non desidera le redini del popolo affidate a creature del popolo? E congiure, ed associazioni, e circoli, e comitati, e giornali, e moltitudini raccolte gridarono evviva al desiderio d’una Costituente italiana. Questa è; saprete conservarla, compirla, difenderla? Ci siamo governati finora con la menzogna; si tolgano le bende alle piaghe; meditiamo una volta a’ rimedi.

Qui volontarii siamo; il voto di molte migliaia manifestarono e dichiararono la sovranità popolare. Pure non si ebbe ancora l’ardimento della situazione. Fugge il Papa, e sta bene; si circonda d’ogni diplomatico tradimento, trama congiure, suscita riazioni, e sta bene; ma noi, interpreti di tante generazioni, eredi di tanti dolori e di tante speranze, noi figliuoli di vedova sconsolata, che non abbiamo saputo per anco vendicare, non sapremmo, non vorremmo gettare sulla nostra sepoltura un coperchio per non ricaderci? Si imprigionano gli uomini che parteggiano pel Re-Sacerdote; e non ancora al Pontefice fu strappata la corona? Non si decretino forme di governo, ciò spetta alla nazione; ma l’ingiustizia si tolga, e l’assurda inconseguenza di condannare uomini che pur dovete condannare, i quali parteggiano per un uomo e per un principio che non condannaste ancora, che venerate ancora nelle pubbliche insegne. Finiscano le ipocrisie delle mezze misure, del fatto che maschera il diritto, del diritto che maschera il fatto. Se vogliamo esser liberi, è suonata l’ora del grande esperimento; se vogliamo giacere impossenti o limosinare alla porta d’ogni popolo la libertà, nella medesima guisa di tapini che, per odio al lavoro, vanno mendicando a frusto a frusto la vita con monotoni lagni, a che si domanda sovranità popolare e costituenti italiane?

Immensa letizia e immenso dolore ci combattono l’anima, riguardandoci intorno. Tanta sicurezza e tanti pericoli? Né la sicurezza parte dall’intima coscienza del proprio coraggio, ma dall’ignoranza dei pericoli. La guerra è cessata da sei mesi; la guerra sta per rinascere. E che si fece per sostenerla, per riscattar l’onor nazionale compromesso? A Roma durante due mesi che fecesi mai? Quali sono i provvedimenti per danaro e per armi? Quali i corpi con savia mente ordinati? Ove sono le nuove milizie raccolte?

Noi sappiamo che molti ci sbarrerebbero con ambe le mani la bocca per soffocare questo grido d’allarme, che imprudente dichiarano. A costo d’essere maledetti, giova ripeterlo. Se la nazione diventa sovrana, la nazione diventi soldato nel medesimo tempo. Se no, no. Rammentatevi che i Francesi immolarono il diritto de’ principi sovra un patibolo, ma noi stiamo immolandolo sopra un altare; essi, in nome del popolo, noi, in nome di Dio e del Popolo. La nostra rivoluzione è piú vasta, piú profonda e severa; quindi è piú contrastata. E possiamo fare altrimenti? O schiavi col governo de’ preti; o liberi senza. La scelta non è dubbia. Perciò non dobbiamo temere, e riflettere con la prudenza de’ forti? Non siamo cinti di nemici? Tutti quanti i principati d’Europa non ci possono essere che nemici, lo debbono essere, e lo sono. Siam saliti, saliti; ma in ragione del nostro salire, se mai si cadesse, aumenta la terribilità della italica rovina. Quindi grideremo sempre per soddisfacimento alla nostra coscienza, per compiere ad un obbligo santo. Italiani, non fate a similitudine del viandante in mezzo alle nevi; se posa solo brev’ora e s’addorme, egli muore.

Il sacro motto della nostra rivoluzione è la Costituente Italiana. O fratelli di Torino e di Genova, se odiate gli Austriaci, se avete pietà de’ Lombardi, se amate l’Italia e voi stessi, raccoglietelo. Nemico nostro è il governo di Napoli, ma piú tremendo nemico, perché vestito di sembianze amichevoli, è quel di Torino. Voi sperate sedere co’ Romani e Toscani nella grande Assemblea. Disingannatevi. Quel governo vuol prescegliere d’intraprender la guerra contro gli Austriaci e di perderla. Ei non vuole Costituente Italiana; questo è sí vero che offre al Pontefice un intervento armato nelle provincie romane, perché sommarono le angoscie di secoli, e dissero: – Basta! –; questo è sí vero che le diplomatiche relazioni col governo romane, son rotte, che la Legazione piemontese oggi lascia Roma. Vanno a Gaeta, tutti vanno a Gaeta; ivi le insidie si tramano; ivi si studia come atterrir le coscienze ed accendere guerre civili, ivi si abusa in nome di Dio; ivi le tigri si vestono del mantello di Cristo, e giurano forse in questo momento una santa alleanza di despoti contro un popolo che dimanda solo giustizia. Non altro vi resta, o fratelli, che di suscitare le moltitudini, e conquistar colla forza il vostro diritto alla cittadinanza italiana.

E tutti quanti si accingano a proteggere in armi la maestà della nazione, che deve apparire visibile in Roma. I decreti senza le armi sarebbero argomento di scherno. E agli uomini che avversano nell’interno la nostra rivoluzione, si dica e si tenga il proverbio: chi rompe, paga.


Note

  1. Il Tribuno, 2 gennaio 1849.