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(4414-4415) pensieri 349

pongono oggi l’Iliade e l’Odissea; tra le quali, supposta per vera la persona di quest’Omero, è però ben difficile, come appunto nelle ossianiche, il determinare quali sieno sue, quali d’altri; ed anche se ve ne sia alcuna di sue; anzi è veramente impossibile. Taccio poi delle tante altre poesie epiche attribuite ad Omero (e ad Esiodo), compresa la Batracomiomachia, sí manifesta parodia dell’Iliade: e ciò fin dal tempo di Erodoto, che nomina tὰ Κύπρια ἔπεα come opera attribuita ad Omero, a cui egli però la nega (l. I, c. 117; Schweigh.), e gli ᾽Επίγονοι parimente, de’ quali pure egli dubita se sieno d’Omero (l. IV, c. 32; Schweigh.) (21 ottobre).


*    Il vedere che Omero (per usare, come dice Constant, questo nome collettivo) parlando della sua poesia, non dice mai di scrivere, ma sempre cantare o dire, è prova assai maggiore che non si crede, che i suoi versi in fatto non furono scritti. Noi, quantunque i nostri versi si scrivano, diciamo di cantarli, perché la lingua antica, cioè la lingua di Omero, ha usata questa espressione per il poetare. Ma nella lingua di Omero, non vi poteva essere altra ragione  (4415) per usarla e per non parlar mai di scrittura, se non, che le poesie in fatti si cantavano senza scriverle. Ho dimostrato altrove che dovunque esiste una lingua poetica formata, questa lingua non è altro che lingua antica. Ma i tempi d’Omero non potevano avere una lingua poetica (se non per lo stile, come i francesi), perché non avevano antichità di lingua. E in fatti non avevano lingua poetica a parte: e Omero nomina tutti gli usi di que’ tempi, nomina le città, i popoli, i magistrati ec. co’ loro nomi propri e prosaici. Cosí accade in tutte le poesie primitive, e cosí Dante è pieno di nomi proprii e prosaici, spettanti a geografia (Montereggione ec. ec.), costumi de’ suoi tempi, dignità ec., nomi che ora o sono sbanditi dalla lingua poetica, o non vi sono ammessi se non come usati da