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(4348-4349) pensieri 291

cioè l’onore e la lode de’ contemporanei, cioè de’ conoscenti e de’ cittadini o compatrioti, in vita e ne’ primi dí dopo la morte: stimolo ben sufficiente alle piú grandi azioni. Omnino autem satis habuit illa aetas, quasi sub nutrice ludendo et divini ingenii impetum sequendo, res pulcherrimas experiri et ad aliorum oblectationem prodere: mercedem si quam petiit, plausus fuit et laus aequalium auditorum, dice il Wolf (§ 22, p. xciv-v, e cita Orazio, Ep., II, 1, 93). E quel ch’ei dice de’ poeti di que’ tempi dee dirsi parimente de’ guerrieri, magistrati, uomini forti, giusti, virtuosi. Vedi p. 4352. Altro vantaggio anche questo de’ tempi Omerici, ignorare l’immortalità del nome: 1o, non erano tormentati da un desiderio sí difficile ad adempire, 2o, molto piú filosoficamente e ragionevolmente di noi (come sono sempre piú filosofi di noi i primitivi) limitavano i lor desiderii a quel che è sensibile e naturale a desiderarsi, la lode dei presenti; non estendevano le loro viste al di là di quel che è concesso all’individuo, al di là dello spazio assegnatogli dalla natura, cioè della vita; in fine non si curavano di quello che nulla ci può veramente né giovare né nuocere, né piacere, né dispiacere, di quel che si penserà di noi dopo la nostra morte.

E qui è curioso e filosofico, egualmente che tristo, il riflettere che Omero senza desiderare né aspirare all’immortalità, l’ha ottenuta; e noi che la desideriamo, noi per effetto appunto della scrittura che ci ha ispirato tal desiderio,  (4349) non l’otterremo. I versi e gli eroi di Omero, fidati alla sola memoria, han varcati quasi trenta secoli, e dureranno quanto, per dir cosí, la presente stirpe umana, quanto la presente cronologia; i nostri componimenti ed i nostri eroi, fidati alla scrittura, che avrebbe oramai de’ milioni di componimenti e di eroi da conservare, non giungeranno appena alla generazione futura. Altro paradosso verissimo: la scrittura che sola o principalmente ha