teriore, o l’uno e l’altro, sempre però o quasi sempre cagiona eziandio nel tempo stesso una specie di letargo, d’irriflessione, d’ἀναισθησία, ancorché l’uomo per altra parte sia allora straordinariamente sensibile, e riflessivo e profondo sopra ogni cosa.1 Ella infatti per sua proprietà trae l’uomo piú o meno, ed in uno o in altro modo, fuor di se stesso, e in certa maniera, quando piú quando meno, lo accieca, lo trasporta, lega le sue facoltà, ne sospende l’uso libero ec. Perciò appunto ella è ordinariamente piacevole, perocché sospendendo o scemando in certo modo il sentimento della vita, nel tempo stesso ch’ella accresce la forza, l’energia, l’intensità, il grado, la somma, la vitalità d’essa vita, sospende o scema o rende insensibile o men sensibile l’azione, l’effetto, l’efficacia, (3906) le funzioni, l’attualità dell’amor proprio, e quindi il desiderio vano della felicità ec., secondo il detto nella mia teoria del piacere sopra l’essenziale piacevolezza di qualunque assopimento, in quanto sospensivo del sentimento della vita, e quindi del sentimento, anzi dell’attuale esistenza dell’amor proprio e del desiderio della felicità. L’ubbriachezza e tutto ciò che le si assomiglia o le appartiene ec. è piacevole per sua natura, principalmente in quanto ell’é (per sua natura) assopimento.2 Massime che questo nasce allora dall’eccesso medesimo della vita e del sentimento di lei, il qual eccesso è nella ubbriachezza quello che scema e mortifica piú o meno esso sentimento (secondo che il troppo è padre del nulla, come altrove) e quasi estingue l’ani-
- ↑ Veggasi la p. 3921-27.
- ↑ L’ubbriachezza accrescendo la vita e il sentimento di essa, fa nel medesimo tempo che l’individuo non rifletta (naturalmente), non consideri questa vita e questo sentimento, che il suo spirito consideri e s’interessi a questo sentimento accresciuto assai meno ancora ch’ei non suole al sentimento ordinario e minore, e tanto meno quanto egli è piú cresciuto. Vedi p. 3931.