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430 pensieri (3507-3508-3509)

religion loro piú per rispetto dell’inferno e del Purgatorio che del Paradiso. E Dante che riesce a spaventar dell’inferno, non riesce, né anche poeticamente parlando, a invogliar punto del Paradiso;  (3508) e ciò non per mancanza d’arte né d’invenzione ec., (anzi ambo in lui son somme ec.), ma per natura de’ suoi subbietti e degli uomini (similmente, con proporzione, si può discorrere dell’Eliso e dell’inferno degli antichi, questo molto piú terribile che quello non è amabile; dello stato de’ reprobi e della felicità de’ buoni di Platone ec.).

È anche certo che siccome il cristianesimo senza il suo inferno e il suo Purgatorio, e col solo suo Paradiso, non avrebbe avuta e non avrebbe sulla condotta e sui costumi degli uomini quella influenza ch’egli ebbe ed ha, cosí non l’avrebbe avuta, o minore assai, se e’ non avesse minacciato nell’inferno e nel Purgatorio una pena di qualità concepibile, e s’egli avesse solo minacciata la pena del danno ch’è di qualità inconcepibile, e di natura diversa dalle pene di questo mondo; benché non tanto, quanto la beatitudine celeste dalle terrene; perché noi concepiamo pure e sentiamo per esperienza come ci possa fare infelici la privazione e il desiderio di beni non mai provati, mal conosciuti, ed anche non definibili; dei desiderii vaghi ec. Onde anche non concependo il bene del Paradiso, possiamo in qualche modo concepire come la privazione irreparabile e il desiderio continuo ed eterno di esso possa fare infelici, massime chi sa di non poter esser mai soddisfatto,  (3509) e pur sempre desidera, e sa d’aver sempre a desiderare, e chi è certo di penar sempre allo stesso modo, e di essere eternamente infelice senza riparo, e senza sollievo alcuno ec. Tutto ciò noi possiamo ben concepire, quasi secondariamente, come possa esser causa di somma infelicità, benché non possiamo concepirlo primariamente, cioè la qualità di quel bene che nell’inferno ec.