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pensieri |
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sua natura o la carne di cui lo vegga cibarsi, all’uomo il piacere degli studi e delle cognizioni, piacere che l’animale non può concepire, né che possa esser piacere, né come, né qual piacere sia: e cosí discorrendo. È ben vero che né l’uomo, né forse l’animale, né verun altro essere, può esattamente definire né a se stesso né agli altri qual sia assolutamente e in generale la felicità ch’ei desidera; perocché (3500) niuno forse l’ha mai provata, né proveralla, e perché infiniti altri nostri concetti, ancorché ordinarissimi e giornalieri, sono per noi indefinibili. Massime quelli che tengono piú della sensazione che dell’idea: che nascono piú dall’inclinazione e dall’appetito che dall’intelletto, dalla ragione, dalla scienza; che sono piú materiali che spirituali. Le idee sono per lo piú definibili, ma i sentimenti quasi mai; quelle si possono bene e chiaramente e distintamente comprendere ed abbracciare e precisar col pensiero, questi assai di rado o non mai. Ma ciò non ostante, sí l’animale che l’uomo sa bene e comprende, o certo sente, che la felicità ch’ei desidera è cosa terrena. Quell’infinito medesimo a cui tende il nostro spirito (e in qual modo e perché s’è dichiarato altrove), quel medesimo è un infinito terreno, bench’ei non possa aver luogo quaggiú, altro che confusamente nell’immaginazione e nel pensiero, o nel semplice desiderio ed appetito de’ viventi. Oltre di ciò niuno è che viva senz’alcun desiderio determinato e chiaro e definibilissimo, negativo o positivo, nel conseguimento (3501) del quale o di piú d’uno di loro ei ripone sempre o espressamente o confusamente, benché pur sempre per errore, la sua felicità e il suo ben essere. Quel trovarsi senz’alcun desiderio al mondo, se non quello di un non so che, quell’essere infelice senza mancare di niun bene né patire assolutamente niun male, è impossibile; e se Augusto diceva d’essere in questo caso, poteva parergli che cosí fosse, ma s’ingannava;