(3416-3417-3418) |
pensieri |
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stante antichità, per potere avere abbastanza di quella eleganza di cui qui s’intende parlare, e un linguaggio ben propriamente poetico e ben disgiunto dal prosaico. Le parole dello Speroni provano questa verità, e questa le mie teorie a cui la presente osservazione si riferisce. Il cui risultato è che dovunque non è sufficiente antichità di lingua cólta, quivi non può ancora essere la detta eleganza di stile e di lingua, né linguaggio poetico distinto e proprio ec. (11 settembre 1823). Ho già detto altrove (3417) che non prima del passato secolo e del presente si è formato pienamente e perfezionato il linguaggio (e quindi anche lo stile) poetico italiano (dico il linguaggio e lo stile poetico, non già la poesia); s’é accostato al virgiliano, vero, perfetto e sovrano modello dello stile propriamente e totalmente e distintissimamente poetico; ha perduto ogni aria di familiare; e si è con ben certi limiti, e ben certo, né scarso, intervallo, distinto dal prosaico. O vogliamo dir che il linguaggio prosaico si è diviso esso medesimo dal poetico. Il che propriamente non sarebbe vero; ma e’ s’é diviso dall’antico; e cosí sempre accade che il linguaggio prosaico insieme coll’ordinario uso della lingua parlata, al quale ei non può fare a meno di somigliarsi, si vada di mano in mano cambiando e allontanando dall’antichità. I poeti (fuorché in Francia)1 serbano l’antico piú che possono, perch’ei serve loro all’eleganza, dignità ec., anzi hanno bisogno dell’antichità della lingua. E cosí, contro quello (3418) che dee parere a prima giunta, i piú licenziosi scrittori, che sono i poeti, son quelli che piú lungamente e fedelmente conservano la purità e l’antichità della lingua, e che piú la tengon ferma, mirando sempre e continuando il linguaggio de’ primi istitutori della poesia ec. Dalla quale antichità la prosa, obbligata ad accostarsi all’uso corrente,
- ↑ Vedi p. 3428.