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non si reputi immeritevole della infelicità ch’ei sostiene. Queste, disposizioni benché comuni a tutti i tempi, sono massimamente sensibili oggidí, poiché per le circostanze politiche la vita non ha piú come vivamente occuparsi e distrarsi, e d’altronde il lume della filosofia dissipa ben tosto, o soffoca nel nascere, o impedisce del tutto qualunque illusione di felicità. Quindi eziandio dipendentemente dalla compassione, egli era  (3160) tanto piú conveniente oggidí che a’ tempi d’Omero il far molto giuocare ne’ poemi epici le sventure degli uomini, quanto che oggi il sentimento della infelicità nelle nazioni civili è piú vivo che fosse mai nel genere umano, ed è il sentimento e il pensiero per cosí dir dominante, da cui niuno oramai trova piú come distrarsi. E la infelicità individuale degli uomini è, per cosí dire, il carattere o il segno di questo secolo. Tutto al contrario di quel d’Omero, il quale forse godette di quella maggior felicità o minore infelicità che possa godersi dall’uomo nello stato sociale, e che sempre risulta dalla grande attività della vita e dalle grandi e forti illusioni, cose proprissime di quel tempo, massime nella Grecia. Or dunque oggidí le sventure cantate da’ poeti non possono non interessar grandemente, e piú che in ogni altro tempo, e tutti; essendo il sentimento della propria sventura l’universale e piú continuo sentimento degli uomini d’oggidí, ed amando naturalmente gli uomini di parlare e  (3161) udir parlare delle cose proprie, e riguardando ciascheduno la infelicità come propria sua cosa, e dilettandosi gli uomini singolarmente di quelli che loro piú si assomigliano, né potendosi trovar somiglianza piú universale che quella della infelicità, e compiacendosi ciascheduno di vedere in altrui o di legger ne’ poeti i suoi propri sentimenti, e contando per somma ventura ogni volta ch’egli incontra o nella vita o ne’ libri qualche notabile conformità o di casi o di circostanze o di opi-