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186 | pensieri | (3102-3103-3104-3105) |
zioni, esteriori o interiori, che non dipendono dalla volontà di chi n’é il soggetto. Dico che la guerra è (3103) dell’uomo coll’uomo, sebbene Omero c’intramette anche gli Dei. Ma questa finzione era per abbellire e non per alterare la natura della guerra eccetto in alcune parti poco essenziali. Come quando s’introduce Achille alle prese col Csanto. Nel qual caso, non essendo la battaglia d’uomo con uomo, ma colla superior potenza di un Dio, Omero non si fa scrupolo d’introdurre Achille chiedente aiuto e fuggente, né stima che questo tolga alla sua superiorità, perch’ei lo vuol far superiore agli uomini non agli Dei, e vittorioso nella guerra de’ mortali, non degli eterni. E infatti l’intervento degli Dei, come non doveva (volendo conservare il buono effetto) alterare, cosí effettivamente non àltera appresso Omero la sostanza della guerra umana.
Conveniva dunque che l’Eroe e la nazione presa da Omero a celebrare fossero fortunati e vittoriosi, massimamente aggiungendosi alle (3104) predette considerazioni generali questa particolarità che l’Eroe da Omero celebrato era greco, e la nazione era la greca, cioè quella alla quale egli cantava e a cui egli apparteneva, e la guerra era stata contro i barbari. Molto conveniente cosa, pigliare per soggetto del poema epico le lodi e le imprese della propria nazione e una guerra contro i perpetui e naturali nemici di lei, ciò erano i barbari. Cosa che raddoppiava, anzi moltiplicava l’interesse del poema, siccome accade nella Lusiade, siccome ancora nell’Eneide ec. Onde Isocrate pensa che gran parte della celebrità di Omero e della grazia in che sempre furono i suoi poemi appo i greci, derivi dal patriotismo de’ medesimi poemi e dalle battaglie e vittorie contro i barbari, che in essi sono celebrate (Vedilo nel Panegirico, edizione del Battie, Isocr. Oratt., VII, et epistt., Cantabrig., 1729, p. 175-76). Or come poteva Omero fingere o narrar perditori (3105) la sua