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154 pensieri (3047-3048-3049)

nulla valgono e colle quali niuna scrittura, benché niun’altra dote abbia, è mai dispregevole, sono tutta e per tutto opera dono ed effetto dell’arte.  (3048) Le qualità dove l’arte dee meno apparire, che paiono le piú naturali, che debbono infatti parere le piú spontanee, che paiono le piú facili, che debbono altresí parer conseguite con somma facilità, l’una delle quali si può dir che appunto consista nel nascondere intieramente l’arte, e nella niuna apparenza d’artifizioso e di travagliato; esse sono appunto le figlie dell’arte sola, quelle che non si conseguono mai se non collo studio, le piú difficili ad acquistarne l’abito, le ultime che si conseguiscano, e tali che acquistatone l’abito, non si può tuttavia mai senza grandissima fatica metterlo in atto. Ogni minima negligenza dello scrittore nel comporre toglie al suo scrivere, in quanto ella si estende, la semplicità e la chiarezza, perché queste non sono mai altro che il frutto dell’arte, siccome abituale, cosí ancora attuale; perché la natura non le insegna mai, non le dona ad alcuno; perché non è possibile ch’elle vengano mai da se, chi non le cerca, né che veruna parte  (3049) di veruna scrittura riesca mai chiara, né semplice per altro, che per espresso artifizio e diligenza posta dallo scrittore a farla riuscir tale. E togliendo immancabilmente la chiarezza e la semplicità, ogni minima negligenza dello scrittore inevitabilmente danneggia, e in quella tal parte distrugge sí la bellezza, sí la bontà di qualsivoglia scrittura. Perocché la semplicità e la chiarezza sono parti cosí fondamentali ed essenziali della bellezza e bontà degli scritti, ch’elle debbono esser continue, né mai per niuna ragione (se non per ischerzo o cosa tale) elle non debbono essere intermesse, né mancare a veruna, benché piccola, parte del componimento. La forza, la sublimità, l’abbondanza o la brevità e rapidità, lo splendore, la nobiltà medesima, si possono, anzi ben sovente si debbono intermettere nella