dereche la inflession d’una voce sia stimata, e quindi veramente sia piú elegante o per la prosa o pel verso, perché e quanto ella è piú conforme all’etimologia, ma solamente perché e quanto ella è meno trita dall’uso familiare, essendo però bene intesa e non riuscendo ricercata (anzi bene spesso è trivialissima l’inflessione regolare ed etimologica, ed elegantissima e tutta poetica la medesima voce storpiata, come dichiaro in altro luogo). E questo non esser trita, né anche ricercata, ma pur bene intesa, come può accadere a una voce, o ad una cotale inflessione della medesima? Il pigliarla da un particolar dialetto o l’infletterla secondo questo fa ch’ella non riesca trita all’universale, ma difficilmente può far ch’ella e non paia ricercata e sia bene intesa da tutti. Oltre ch’ella riesce anche trita a quella parte della nazione di cui quel dialetto è proprio. In verità i dialetti particolari sono scarso sussidio e fonte al linguaggio poetico, e all’eleganza qualunque. Lo vediamo noi italiani in Dante, dove le (3012) voci e inflessioni veramente proprie di dialetti particolari d’Italia fanno molto mala riuscita, né la poesia nostra, né verun savio tra’ nostri o poeti o prosatori ha mai voluto imitar Dante nell’uso de’ dialetti, non solo generalmente, ma neppure in ordine a quelle medesime voci e pronunzie o inflessioni da lui adoperate. Circa l’uso e mescolanza de’ dialetti greci nella inflessione delle parole appresso Omero, non volendo rinnovare le infinite discussioni già fatte da tanti e tanti in questo proposito, solamente dirò che o le circostanze della Grecia e d’Omero erano diverse da quelle che noi possiamo considerare, e quindi per l’antichità ed oscurità della materia non potendo nulla giudicarne di certo e di chiaro, niuno argomento ne possiamo dedurre; ovvero (e cosí penso) quelle inflessioni che in Omero s’attribuiscono a’ dialetti, e da’ dialetti si stima che Omero le prendesse, o tutte o gran parte erano in verità proprie della lingua greca co-