lungo, per vigorosi e vivaci che fossero, e sonosi contentati d’una carriera assai piú breve e bene spesso prima di giungere al termine di questa medesima, hanno pur lasciato chiaramente vedere che si trovavano affaticati, e che la lena e l’alacrità veniva lor manco, tanto piú quanto piú s’avvicinavano alla meta1. E Virgilio, il quale che cosa non ha tolto ad Omero ?, nella seconda metà della sua Eneide riesce evidentemente languido e stanco, e diverso da se medesimo, se non nella invenzione2, certo però nell’esecuzione, cioè nelle immagini, nella espansione e vivacità degli affetti e nello stile, il che non può esser negato da veruno che ben conosca la maniera, la poesia, la lingua, la versificazione di Virgilio, anzi a questi tali la differenza si fa immediatamente sentire: e vedesi che l’immaginazione di Virgilio era per la lunga fatica illanguidita, raffreddata e sfruttata; non rispondeva all’intenzione del poeta; non (2979) gli ubbidiva; egli poetava già per instituto e quasi debito, per arte e per abitudine, arte e abitudine che in lui erano eccellentissime, e possono ai meno esperti sembrare impeto ed ὁρμὴ poetica, ma non sono e non paiono tali ai piú accorti, i quali in quegli ultimi libri desiderano la vena la προJυμία, l’alacrità di Virgilio. L’invenzione doveva essere stata da lui tutta concepita e disposta fin dal principio, com’é naturale in ogni buon poeta, e massime in un poeta di tant’arte e maestria. Quindi s’ella nel fine non è inferiore al principio, niuna maraviglia. L’immaginazione era cosí fresca quando inventava il fine del poema, come quando inventava il principio. Ma non minor forza, vivezza, attività, prontezza, fecondità
- ↑ Da queste osservazioni si deduce quanto la natura e l’ingegno son piú ricchi dell’arte e come l’imitatore è sempre piú povero dell’imitato. Vedi Algarotti, Pensieri, Opp., Cremona, t. VIII, p. 79.
- ↑ Vedi Chateaubriand, Génie, Paris, 1802, Par. II, l. 2, ch. 1,0 fine, t. II, p. 105-6.