Pagina:Zibaldone di pensieri IV.djvu/397

(2699-2700-2701) pensieri 385

o minore barbarie. La lingua provenzale, benché scritta da tanti in poesia ed in prosa, pure, perché non ordinata sufficentemente né ridotta a grammatica, è tutta morta dopo brevissima vita. E degli stessi trecentisti italiani, quelli che piú s’accostarono al dir plebeo e provinciale, fosse fiorentino o qualunque, siccome tanti scrittori fiorentini o toscani di cronichette o d’altro, sono già da gran tempo scrittori di lingua per grandissima  (2700) parte morta; giacché infinite delle loro voci, frasi, forme e costruzioni piú non s’intendono nelle stesse loro provincie, o vi riescono strane, insolute, affettate, antiquate e invecchiate. Vedi Perticari Apologia di Dante, capo 35, e specialmente p. 338-45 (17 maggio 1823).


*   La cagione per cui negli antichissimi scrittori latini si trova maggiore conformità e di voci e di modi colla lingua italiana, che non se ne trova negli scrittori latini dell’aureo secolo, e tanto maggiore quanto sono piú antichi, si è che i primi scrittori di una lingua, mentre non v’è ancora lingua illustre, o non è abbastanza formata, divisa dalla plebea, fatta propria della scrittura, usano un piú gran numero di voci, frasi, forme plebee, idiotismi ec. che non fanno gli scrittori seguenti; sono in somma piú vicini al plebeo da cui le lingue scritte per necessità incominciano, e da cui si vanno dividendo solamente a poco a poco; usano una piú gran parte della lingua plebea ch’è la sola ch’esista allora nella nazione, o che  (2701) non è abbastanza distinta dalla lingua nobile e cortigiana ec., sí perché quella lingua che si parla (com’è la cortigiana) tien sempre piú o meno della plebea; sí perché allora i cortigiani ec. non hanno l’esempio e la coltura derivante dalle lettere nazionali e dalla lingua nazionale scritta, per parlare molto diversamente dalla plebe. Ora, l’unica lingua che possano seguire e prendere in mano i primi scrittori di una

Leopardi.Pensieri, IV. 25