Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
384 | pensieri | (2697-2698-2699) |
il quale fu poi un’altra circostanza che contribuí a mantenere la civiltà in Grecia, e seco la lingua illustre (coltivata poi da Temistio, da Libanio, da Giuliano imperatore, da Giamblico, da Gregorio, da Basilio ben superiori in (2698) grecità a quello che furono in latinità Girolamo, Agostino, Ambrogio, Gregorio e Leone Papi, Ammiano e Boezio), ed aiutò la corruzione ed estinzione della civiltà e della lingua illustre latina, massime in Italia, dove mancò affatto una corte latina. La quale per poco tempo fu nelle Gallie, e vi produsse Sidonio e Pacato e gli altri nobili letterati di que’ tempi, e fece per allora quella provincia superiore senza comparazione per latinità, letteratura e civiltà alla stessa Italia che le avea compartite alle Gallie. Finché le conquiste fatte dai barbari distrussero affatto e la civiltà e la lingua illustre in tutta l’Europa latina.
La nuova nostra lingua illustre fu sufficientemente organizzata e stabilita nel trecento insieme colla nuova civiltà italiana. Questa ancor dura e non s’è mai piú perduta. Dunque anche la lingua italiana illustre del trecento, né si è mai perduta, e dura ancora dopo ben cinque secoli: e quei trecentisti che piú si divisero dal parlare plebeo e dai particolari dialetti separati, o (come in (2699) Dante) mescolati, quali sono il Petrarca, il Boccaccio, il Passavanti, il traduttore delle Vite de’ Padri, eccetto alcune poche e sparse parole o frasi, sono ancora moderni per noi, e la loro lingua è fresca e viva, come fosse di ieri. La differenza tra essi e noi sta quasi tutta nello stile e ne’ concetti. Vedi p. 2718.
Al contrario, le lingue non bene o sufficientemente organizzate e regolate variano continuamente e in breve si spengono quasi affatto, e fanno luogo a lingue quasi nuove, anche durando il medesimo stato della nazione, sia di civiltà (se pur vi fu mai civiltà non accompagnata da lingua illustre), sia di maggiore