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(2676-2677-2678) pensieri 371

nel parlare, ma eziandio gli scrittori nostri, massime del trecento, usiamo dice per dicono, altri dice, l’uom dice, un dice (on dit). Passavanti, edizione veneziana del Bortoli, p. 251. E cosí dice che fa il Leone. Mi ricordo di aver trovato questa frase anche in altri trecentisti, e mi par senza fallo nelle Vite dei Santi Padri. Quest’uso che noi abbiamo comune cogli antichissimi e piú eleganti e puri scrittori greci per qual mezzo ci può esser venuto se non per quello dell’antico  (2677) volgar latino? Sempre ch’io trovo qualche conformità frappante fra il greco e l’italiano (massime l’italiano volgare, popolare, corrente e parlato) e cosí il francese e lo spagnuolo, conformità che non appartenga alla natura generale delle favelle, ma alle proprietà arbitrarie ed accidentali delle lingue, se quella tal qualità o parte ec., sopra cui cade questa conformità, non si trova negli scrittori latini, io tengo per fermo ch’ella si trovasse nel latino parlato, cioè nel volgar latino. Giacché questo ebbe commercio col volgar greco e, quel ch’è piú, venne da una medesima fonte col greco; e da esso volgar latino è venuto il nostro volgare. Ma qual commercio ebbe mai il nostro volgare col volgar greco, cioè col greco parlato, e massime coll’antico? Qual commercio poi col greco scritto, e questo pure antichissimo? Quanto al nostro caso, io non credo che negli scrittori latini si trovi, per esempio, ait in vece di aiunt. Ma veggasi il Forcellini (Roma, 2 marzo 1823). Vedi p. 2987.


*   Tutti gl’imperii, tutte le nazioni ch’hanno ottenuto dominio sulle altre, da principio hanno combattuto con quelli di fuori, co’ vicini, co’ nemici: poi, liberati dal timore esterno e soddisfatti dell’ambizione e della cupidigia di dominare sugli stranieri e di possedere quel di costoro, e saziato l’odio nazionale contro l’altre nazioni, hanno sempre rivolto il ferro  (2678) contro loro medesime, ed hanno per lo piú perduto