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360 | pensieri | (2660-2661) |
e dimostra la non esistenza della legge naturale, e reca in mezzo le varietà e discordanze de’ costumi e delle leggi presso i diversi popoli, e de’ giudizi degli uomini e de’ vari secoli intorno al retto e al giusto e a’ loro contrarii. Degna d’esser letta è questa disputazione, massime per ciò che riguarda i vari e ripugnanti giudizi delle antiche nazioni circa il cosí detto diritto naturale e universale o idea innata del giusto e del bene. E cita il Mai (nella 3 nota della p. 232), sopra questo proposito S. Girolamo in Jovin, II, 7, segg., Sesto Empirico III, 24 et contra eth. 190, segg. ed Erodoto III, 38, quos auctores haud paenitendo cum fructu ii legent qui naturali civilique historiae student (22 dicembre 1822).
* Nella sopraddetta disputazione è notabile un frammento (c.15. p. 243), dove Cicerone in persona di Filo ricorda quella favolosa opinione che avevano gli Arcadi (2661) e gli ateniesi d’essere αὐτόχθόνες, cioè terrae filii, perloché, stimandosi di diversa origine e natura dagli altri uomini, niente stimavano di dovere alle altre nazioni, benché riconoscessero leggi e diritti che obbligassero ciascuno individuo della propria nazione verso gli altri individui della medesima. E vedi quivi la nota 1a del Mai (22 dicembre 1822). Vedi p. 2665.
* Et quamquam optatissimum est, perpetuo fortunam quam florentissimam permanere; illa tamen aequabilitas vitae non tantum habet sensum, (mallem sensus sec. casu, quod magis tullianum est) quantum cum ex saevis et perditis rebus ad meliorem statum fortuna revocatur. Cicero, ap. Ammian. Marcell., XV, 5 (23 dicembre, antivigilia di Natale, 1822).
* E pensatamente io chiamai figura non tutto quello, che si diparte dalla prima formazion della