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(2664-2665-2666) | pensieri | 363 |
leggi ut sine causâ alte repetita videatur, invece d’ut non sine causâ alte repetitâ videatur (12 gennaio 1823). Ivi, num. 16, leggi de moribus sine multa invece di de moribus? sine ec. Ivi, 19, poterimus fortasse discere per dicere. Ivi, 32, nomen eius non extaret per nomen eius extaret (12 gennaio 1823). (2665) Ivi, 83, leggi recte quidam vocant Atticum, e vedi num. 75. Ivi, 88, leggi aut tempore alieno non alienum, giacché questa voce si riferisce a ridiculo (12 gennaio 1823). Ivi, 107, leggi laudata; 138, leggi quid caveat (13 gennaio 1823, Roma, in letto); 150, leggi in dicendo (13 gennaio 1823); 182, leggi quid accideret o quid accidisset; 195, leggi quisque o quique per cuique (13 gennaio 1823).
* Alla p. 2661. Dell’antica presuntuosa opinione avuta da vari popoli, e massime dagli ateniesi, d’essere αὐτόχθονοι, e perciò differenti di nascita o di diritti dagli altri uomini, con che giustificavano le conquiste, le preminenze nazionali, le pretensioni che ciascun popolo aveva sugli altri popoli, l’essere sciolti da ogni legge verso i forestieri, la schiavitú di questi o nazionale o individuale, l’oppressione degl’inquilini o stranieri domiciliati, l’odio in somma verso l’altre nazioni, mentre professavano amore alla propria e si stimavano obbligati dalla legge e dalla natura verso i propri cittadini o connazionali, vedi anche l’orazione funebre recitata da Socrate in persona d’Aspasia nel Menesseno di Platone, verso il principio (2 febbraio, dí della Purificazione di Maria SS., 1823). Vedi p. 2675. (2666)
* La prosa francese (nazione e lingua la piú impoetica fra le moderne, che sono le piú impoetiche del mondo) è molto piú poetica della stessa prosa antica scritta nelle lingue le piú poetiche possibili. Lo stesso mancare affatto di linguaggio poetico distinto dal prosaico fa che lo scrittor francese confonda quello ch’é proprio dell’uno con quel ch’é proprio dell’altro, e