Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
254 | pensieri | (2459-2460-2461) |
grafiagià esisteva e la nostra s’aveva da creare; ma nessuna cosa si crea in un momento, massime che tante altre ve n’erano da creare allo (2460) stesso tempo, le quali occupavano tutta l’attenzione di quei primi formatori delle moderne favelle. Uomini che ad una materia putrida, giacché tutte erano barbarissime corruzioni, aveano a dar vita e splendore.
Quindi l’ortografia italiana del trecento, anche quella dei primi letterati, era tutta barbaramente latina. Si può vedere il manoscritto della Divina Commedia fatto di pugno del Boccaccio e del Petrarca, e pubblicato quest’anno o il passato da una biblioteca di Roma. Quindi, conservato l’h che niun italiano pronunziava piú se non colla g e c; quindi l’y, lettera inutile, avendo perduta la sua antica pronunzia di u gallico; quindi il k ec. ec. E siccome per lunghissimo tempo, anche dopo stabilita la nostra letteratura, si durò a credere che il volgare non fosse capace di scrittura e d’uso piú che tanto nobile e importante (e per molto tempo realmente non lo fu, perché non v’era applicata): cosí, fino al cinquecento, e massimamente fino a tutta la sua prima metà, (2461) si seguitò a scrivere l’italiano con ortografia barbaramente latina, o non credendolo capace d’ortografia propria o non sapendogliela ancora trovare e ben regolare e comporre o pedantescamente volendo ritornare il volgare al latino quanto piú si potesse. Vedi la edizione della Coltivazione dell’Alamanni fatta in Parigi, 1546, da Roberto Stefano, sotto gli occhi dell’autore, e ristampata colla stessa ortografia in Padova, Volpi, 1718 e Bologna, 1746, e quella delle Api del Rucellai, Venezia, 1539, che fu la prima (per Gianantonio de’ Nicolini da Sabio) ristampata parimente ne’ detti luoghi. Dice il Volpi che quella maniera e di scrivere e di puntare che vedesi all’Alamanni esser piaciuta è alquanto diversa non solo da quella che oggidí s’usa, ma da quella eziandio che a tempi di lui