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impotenza, sia per inavvertenza, sia per volontà o inesperienza. E però son da ammonire i principianti della vita, che se intendono di vivere e di non vedersi preso il luogo immediatamente e non esser messi a brani o schiacciati s’armino di tanta dose d’egoismo quanta possano maggiore, acciocché la reazion loro sia, per quanto essi potranno, o maggiore o per lo meno uguale all’azione degli altri contro di loro. La quale, vogliano o non vogliano, credano o non credano, avranno infallibilmente a sostenere e da tutti, amici o nemici che sieno di nome, e tanta quanta maggiore sarà in poter di ciascuno. Ché se il cedere per forza, cioè per causa della propria impotenza (in qual genere ch’ella si sia), è miserabile; il cedere volontariamente, cioè per mancanza di sufficiente egoismo in questo sistema di pressione generale, è ridicolo e da sciocco, e da inesperto o irriflessivo. E  (2441) si può dire con verità che il sacrifizio di se stesso, in qual si voglia genere o parte, il quale in tutti gli altri tempi fu magnanimità, anzi la somma opera della magnanimità, in questi è viltà e mancanza di coraggio o d’attività, cioè pigrizia e dappocaggine; ovvero imbecillità di mente; non solamente secondo l’opinione degli uomini, ma realmente e secondo il retto giudizio, stante l’ordine e la natura effettiva e propria della società presente (10 maggio 1822). Vedi p. 2653.


*   Non si nomina mai piú volentieri, né piú volentieri si sente nominare in altro modo, chiunque ha qualche riconosciuto difetto o corporale o morale, che pel nome dello stesso difetto. Il sordo, il zoppo, il gobbo, il matto tale. Anzi queste persone non sono ordinariamente chiamate se non con questi nomi, o chiamandole pel nome loro fuor della loro presenza è ben raro che non vi si ponga quel tale aggiunto. Chiamandole o udendole chiamar cosí, pare agli uo-